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mercoledì 23 febbraio 2011

lunedì 9 agosto 2010

Le feste....Aragonesi

Stamattina, al ritorno dal mare, ho avuto modo di leggere una locandina, affissa nei pressi del lido che frequento, riguardante Montalbano ed il suo cartellone festivo,ricco di eventi, in questo agosto 2010.
Dal 12 al 14 agosto, a Montalbano,si svolgeranno le Feste Aragonesi.
Feste che per tre giorni animeranno, con rievocazioni storiche, il paese che, non dimentichiamolo, e' considerato uno dei "borghi più belli d'Italia".
Dal sito InfoMessina ( quì il link) "La cavalcata medievale, il palio dei quartieri, i giochi medievali, l'apertura delle botteghe dei mestieri tradizionali, l'investitura del cavaliere templare e il corteo storico che celebra l'ingresso a Montalbano di Federico III d'Aragona, riproporranno l’atmosfera medievale e faranno la gioia dei visitatori".
Federico III fu re di Sicilia dal 1296 al 1302.
Volle intitolarsi "terzo" per continuità con la dinastia sveva degli Hohenstaufen, per discendenza da parte di madre.
Era infatti nipote di tutt'altro Federico, quel Federico II di Svevia considerato lo "stupor mundi".
"...Quest'ultimo, amava essere considerato quale "imperatore degli ultimi tempi", chiamato alla missione di restaurare l'aurea età della giustizia sulla terra.
Questa interpretazione leggendaria della sua persona e del suo ruolo, suffragata da alcuni indizi (Iesi, suo luogo natale, era da lui fatto consuonare con Iesus: l'ottagono di Castel del Monte è antico simbolo di eternità: Federico vuole essere incoronato nella fatale Gerusalemme, etc. etc.), entra in conflitto violentemente con la Curia papale, propensa a vedere in Federico il biblico Anticristo". 2)
Comunque la pensiate, a me «'l secondo Federico»3) mi sta simpatico.
Fin dai tempi del liceo.

Maurizio Pirrotti

1)http://it.wikipedia.org/wiki/Federico_III_di_Aragona
2)http://www.sicilyweb.com/storia/svevieangioini.htm
3)
parole di Farinata degli Uberti a proposito del girone degli eretici o degli epicurei, Dante Alighieri, Inf. X 118-119)

mercoledì 16 giugno 2010

Il Risorgimento...nascosto

Dall blog http://tuttouno.blogspot.com/

IL RISORGIMENTO NASCOSTO
postato da Gianluca Freda (02/05/2010)


Dal libro “Terroni” di Pino Aprile (Edizioni Piemme, 2010)
Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).
Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile. Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila».
Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire».
E Garibaldi parlò di «cose da cloaca». Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.
Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.
Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.
Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).
Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.
Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.
Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d’Italia percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre ancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.
Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)? Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere di essere italiano: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait» annunciò Cavour al Senato. «Le Roi notre auguste Souverain prend pour lui-même et pour ses successeurs le titre de Roi d’Italie.»
Credevo al Giosue Carducci delle Letture del Risorgimento italiano: «Né mai unità di nazione fu fatta per aspirazione di più grandi e pure intelligenze, né con sacrifici di più nobili e sante anime, né con maggior libero consentimento di tutte le parti sane del popolo». Affermazione riportata in apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuito gratuitamente dai Centri di Lettura e Informazione a cura del ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale per l’Educazione Popolare, dal 1964. Il curatore, Alberto M. Ghisalberti, avverte che, «a un secolo di distanza (…), la revisione critica operata dagli storici possa suggerire interpretazioni diversamente meditate (…) della più complessa realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce il poeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.
Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei pare una bella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare di parlarne «può anche essere opera di carità». (Storia d’Italia, Einaudi).
Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi.
Non sapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso che non avevo mai attribuito alcun valore, positivo o negativo, al fatto di essere nato più a Sud o più a Nord di un altro. Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.
A mano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io stupito; gli ascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori seccati: esagerazioni, invenzioni e, se vere, cose vecchie. E mi accorsi che diventavo meridionale, perché, stupidamente, maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.
Loro che usano “italiano” come un insulto e abitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”, quando Roma riorganizzò l’impero (quella meridionale venne chiamata “Apulia”, dal nome della mia regione. Ma la prima “Italia” della storia fu un pezzo di Calabria sul Tirreno).
Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra sia servito a molto, perché «ogni battaglia contro pregiudizi universalmente condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas Humphrey (Una storia della mente). «Perché non riprendi una delle tante pubblicazioni meridionaliste di venti, trent’anni fa, e la ristampi tale e quale? Chi si accorgerebbe che del tempo è passato, inutilmente?» suggeriva ottant’anni fa a Piero Gobetti, Tommaso Fiore che poi, per fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, un economista indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno), allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare del già detto, e del già fallito».
Perché tale stato di cose è utile alla parte più forte del paese, anche se si presenta con due nomi diversi: “Questione meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire dalla subalternità impostagli; e “Questione settentrionale”, di recente conio, ovvero della volontà del Nord di mantenere la subalternità del Sud e il redditizio vantaggio di potere conquistato con le armi e una legislazione squilibrata.
Dopo centocinquant’anni, questo sistema rischia di spezzare il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perché troppi sono gl’interessi che se ne nutrono.
Così, accade che la verità venga scritta, ma non sia letta; e se letta, non creduta; e se creduta, non presa in considerazione; e se presa in considerazione, non tanto da cambiare i comportamenti, da indurre ad agire “di conseguenza”.

lunedì 30 novembre 2009

Thea,la donna più "vecchia" di Sicilia


Nel post precedente abbiamo scritto che i primi uomini vennero in Sicilia dal mare ed arrivarono nel primo paleolitico, "forse" prima del 70.000 A.C. La storia di questo lunghissimo periodo, (il Paleolitico) durato migliaia di anni, è ancora oscura per via della quasi totale mancanza di ritrovamenti archeologici. Finora,"dalle nostre parti", è stato scoperto "soltanto" un sito sepolcrale nella grotta di San Teodoro1), sulla costa settentrionale, tra Palermo e Messina ed esattamente sulla parte rocciosa del Pizzo Castellaro, propaggine settentrionale dell’imponente Monte di San Fratello, a circa 2 km a sud-est del centro abitato di Acquedolci (ME). La Grotta di San Teodoro fu abitata dal nostro "progenitore", l’Uomo di Cro-Magnon, tra i 14.000 e gli 8.000 anni a.C. Dopo aver convissuto per diversi millenni, l' Uomo di Cro-Magnon vinse la competizione con l'Uomo di Neanderthal e da allora ebbe inizio la "nostra" storia.
Nella grotta di S.Teodoro sono stati rinvenuti i resti fossili di una donna di circa 30 anni, alta 165 cm alla quale è stato attribuito il nome di Thea (in foto la ricostruzione del volto fatta dall'università di Palermo). Ho usato la parola "vecchia" riferita ad una signora e me ne scuso:Thea, la donna più "antica" della Sicilia!

Maurizio Pirrotti


1)http://it.wikipedia.org/wiki/Grotta_di_San_Teodoro
2)http://it.wikipedia.org/wiki/Epigravettiano
3)http://rickardsbiondi.nova100.ilsole24ore.com/2009/02/index.html

domenica 29 novembre 2009

Falcone, a Monte Giglione Necropoli di età preistorica

I primi uomini vennero in Sicilia dal mare ed arrivarono nel primo paleolitico, forse prima del 70.000 A.C. La storia di questo lunghissimo periodo, (il Paleolitico) durato migliaia di anni, è ancora oscura per via della quasi totale mancanza di ritrovamenti archeologici. Finora,"dalle nostre parti", è stato scoperto "soltanto" un sito sepolcrale nella grotta di San Teodoro, sulla costa settentrionale, tra Palermo e Messina. Finita la grande glaciazione che caratterizzò quel periodo, al Paleolitico seguì una nuova e decisiva fase dello sviluppo culturale nella quale, l’uomo, da raccoglitore e cacciatore nomade divenne produttore di cibo, allevando animali e coltivando i campi. Questo periodo e' comunemente definito "neolitico". Il termine è composto dalle due parole greche "neo" (nuova) e "litos" (pietra) e si riferisce, in particolar modo, alla scoperta, ed all'uso che l'uomo fa,dell'argilla e della ceramica. La più antica cultura neolitica in Sicilia, risalente addirittura al 3000 a.C., detta cultura di Stentinello, avrebbe lasciato traccia di sè sul monte Giglione, nel comune di Falcone. Quando si parla delle origini dei "nostri" centri abitati si fa spesso riferimento a Greci e Romani ma, il sito archeologico, di Giglione, è la prova che le "nostre" zone erano già abitate più di 5000 anni fa! Una necropoli con le caratteristiche tombe a grotticella attende, in contrada "Giglione" di essere "riscoperta" e resa fruibile al grande pubblico: quando la Soprintendenza al Patrimonio Storico Artistico di Messina se ne interesserà, con una adeguata campagna di scavi e con un "doveroso"recupero dell'area? --(Quì un ottimo reportage, fatto nel 2003, dagli alunni ed insegnanti, dell'Istituto Comprensivo "Papa Giovanni XXIII" di Falcone).

Maurizio Pirrotti

mercoledì 25 novembre 2009

Storie di parole

Nel post Oliveri... araba e musulmana si e' scritto di come, sia ancora "vivo" anche nel suono di nomi e parole, che usiamo tutti i giorni e a cui non facciamo più caso, quel periodo ormai...dimenticato. Suoni e nomi che richiamano significati antichi.Un esempio, su tutti, il nome del paese,oggi "Oliveri". Nel periodo arabo, era "Liviri". Sul significato di questa parola si e' tanto scritto e divergono le opinioni degli studiosi.
Suggestiva la tesi, che riporto in questo post, che "Liviri" fosse una antica unità di misura equiparabile alla libbra, utilizzata nell'allevamento del baco da seta anche nel "nostro" paese e da cui, in quel periodo, avrebbe preso il nome.

Setti liviri a cannizza!

La vigilia del giorno dell’Ascensione, verso sera, la gente corre con divozione alla riva del mare; ivi si inginocchia e per nove volte di seguito ad ogni nuovo flutto che il mare invia alla riva, prendono un pugno di arena e ripetono la seguente preghiera:

Ti salutu fonti di mari

cca mi manna lu Signuri:

tu m’ha dari lu to beni

io ti lassu lu me mali.

"L’arena la prendono dopo aver recitata la preghiera. L’arena raccolta vanno poi a gittarla sui tetti delle persone che nutricano il baco da seta, gridando con gioia: Setti liviri a cannizza! (Sette libbre per canniccio).

Era un grido di buon augurio: «Sette liviri a cannizza! », sette libbre di prosperi bachi ogni cannizzo. Nella speranza di trarne un eccezionale quantitativo di seta.


cfr. M.s. di Tommaso Cannizzaro, Biblioteca Regionale di Messina (Ms F.N. 489)
tratto da Sergio Todesco: Mitologie del baco da seta in Sicilia. In: La seta e la Sicilia.
A cura di Caterina Ciolino. Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Messina. Palermo, Regione Siciliana, 2002, p. 231

martedì 17 novembre 2009

Oliveri...araba e musulmana


Certo, ai più, il nome di Contrada Guadimirri non suggerisce nulla, si trova nel territorio di un altro comune ma, forse, il più vicino a noi (ad Oliveri) Monte dei Saraceni o il nome Wadi al Amir "fiume dell'emiro"1) magari evocherà qualcosa... Per più di duecentocinquant'anni, dall’827 fino al 1091, gli Arabi(Saraceni) hanno vissuto in Sicilia, con la loro cultura, storia, economia, religione... Hanno trasformato l'economia del territorio, impiantato mulini ad acqua, introdotto nuove colture come la "canna mele", (canna da zucchero)2) il cotone, il lino, il gelso etc. etc. Hanno arricchito le conoscenze di noi tutti nel campo dell' astronomia, medicina, matematica, geografia, cosmografia etc. grazie al contributo di grandissimi scienziati e, su tutti, cito solo Abu al-Rayhan Muhammad ibn Ahmad al-Biruni (973-1048),3) originario dell’Iran, paragonato, per la sua versatilità a ... Leonardo!
Oggi, quel periodo, e' ancora "vivo" nel suono di nomi e parole ed in particolare, ad Oliveri, in ciò che rimane degli antichi mulini ad acqua lungo il corso del Wadi al Amir, in ciò che resta dell'antico castello e nel linguaggio che usiamo tutti i giorni ed a cui non facciamo più caso. Ieri pomeriggio, col sig.Persano, abbiamo discusso anche di questo, della storia troppo spesso "colpevolmente dimenticata" della "nostra terra".

Maurizio Pirrotti

1)http://www.montalbanoelicona-sicilia.it/Elicona%20dell%20emiro/Fiume%20Elicona%20dell%27Emiro.html
2)http://iblei.ath.cx/percorsi/index.php?option=com_content&view=article&catid=20:opere&id=103:-il-trappeto-dello-zucchero-e-la-cannamele-di-spaccaforno
3)http://www.rivstoricavirt.com/rivstoricavirt_sito/scienza_araba.html